La Storia

La famiglia Sterbini risulta iscritta all'Albo della Nobiltà Italiana dal 1772 come "Nobili di Ferentino". Sembra che originariamente il capostipite sia stato un comandante lansichenecco proveniente dalla Germania meridionale o dalla Svizzera a seguito della richiesta di aiuto del Vescovo di Roma per liberare le terre ciociare dai briganti. Il comandante lansichenecco si distinse per la crudeltà con la quale trattava i propri prigionieri spesso condannati a morte (da qui il cognome Sterbini, dal tedesco "sterben" =  morire). Liberate le terre il Papa ne fece dono per ricompensarlo. Da allora la famiglia Sterbini divenne sostenitrice dello Stato Pontificio arrivando ad essere Guardia Nobile del Papa.
A Roma il palazzo Sterbini è visibile  in Via del Babbuino. Si annoverano molti personaggi illustri tra gli antenati della famiglia.

ArmaD'argento, al destrocherio armato al naturale, movente dal fianco destro dello scudo, impugnante con la mano di carnagione una clava posta in palo, il tutto al naturale ; col capo d'azzurro, carico di tre stelle di sei raggi d'argento, ordinate in fascia.
   

Cesare Sterbini: nasce a Roma nel 1784. Uomo di profonda cultura classica e moderna, filosofica letteraria e linguistica, era funzionario presso l’Amministrazione pontificia e dilettante di poesia per musica. Diede a Rossini i versi del dramma semiserio Torvaldo e Dorliska (1815) e del Barbiere di Siviglia (1816) dalla magnifica commedia di Beaumarchais dove - secondo Riccardo Bacchelli - “sfronda, compendia, rifonda caratteri, vicenda e stile del lavoro”.
Scrive, inoltre, Il contraccambio con musica di Giacomo Cordella nel 1819 e Isaura e Ricciardo per la musica di Francesco Basili nel 1820.
Muore a Roma il 19 gennaio 1831.

Copia di "Almaviva" di Cesare Sterbini
Pietro Sterbini:  nacque a Sgurgola, da Cesare Sterbini e Camilla Bianchi, il 23 gennaio 1793. Mostrò fin da giovane un ingegno fervido e un carattere fiero. Fu un patriota insigne, infaticabile agitatore dei moti rivoluzionari ed amico, compagno, collaboratore di molti carbonari.
Trascorse parte della sua infanzia e adolescenza a Vico nel Lazio, poi i genitori, per fargli compiere gli studi regolari, lo affidarono alla educazione dei sacerdoti nel seminario di Veroli. All’età di 20 anni si iscrisse alla facoltà di medicina all’Università di Roma “La Sapienza” e ne uscì laureato. Esercitò per breve tempo la professione di medico a Pofi, dove conobbe Carolina Moscardini, che diventò sua moglie dandogli tre figli.
Si dedicò anche, con molta passione, allo studio delle discipline storiche, filosofiche e letterarie e scrisse la tragedia “la Vestale”, felicemente rappresentata al Teatro Valle di Roma nel 1827, ma che fu subito proibita dalla censura a causa delle sue idee politiche liberali. Fu anche autore di non poche poesie e di altre tragedie, nonché dell'ode “La Battaglia di Navarino”, recitata in una pubblica accademia che gli valse una condanna al confino.
Nel 1831, terminato il periodo di confino e avuta notizia dei moti rivoluzionari di Bologna, tentò di far sollevare la popolazione romana e, d’accordo con i liberali della Romagna e del Bolognese, fomentò e diresse la sommossa che scoppiò a Roma contro il governo del Papa Gregorio XVI, si recò a Terni per persuadere il generale Sercognani a marciare su Roma, ma il tentativo fallì. Fu costretto a rifugiarsi prima in Toscana e poi in Corsica, dove ebbe la fortuna di incontrare Giuseppe Mazzini, di cui divenne fedelissimo amico. In seguito si scrisse alla “Giovine Italia”.
Nel 1835 si trasferì a Marsiglia, esercitandovi la professione di medico.
Salito Pio IX al sommo pontificato, e concessa questi l’amnistia generale il 14 luglio 1846, lo Sterbini, approfittando della politica in favore dei prigionieri politici,  tornò dall’esilio e si dedicò al giornalismo collaborando al “Contemporaneo”. La sua attività politica proseguì a Roma, promuovendo riunioni, guidando dimostrazioni popolari e inneggiando al novello papa fino ad accattivarsene la simpatia.
Il 18 marzo 1848, con l'avvento della Repubblica Romana, venne eletto al Consiglio dei Deputati nel Collegio di Anagni.

Fu presidente del Circolo Popolare di Roma e in seguito venne nominato Ministro dei Lavori Pubblici, Industria e Commercio. Accusato di non aver dato in tempo utile al commercio di Ancona e di Bologna, pur avendogliene la Camera fornito i mezzi, sdegnato lo Sterbini rassegnò le dimissioni che furono accettate.
Fu nominato Conservatore dei pubblici musei, gallerie, archivi e biblioteche; presidente del Comitato di Pubblica Sorveglianza e Commissario straordinario di Frosinone.
Venne coinvolto nella congiura che portò alla uccisione di Pellegrino Rossi il 15 novembre 1848: Sterbini derideva spesso Pellegrino Rossi, additandolo come “nemico dell'Italia” e solo il giorno prima dell'omicidio, lo Sterbini si chiedeva come non si trovasse a Roma una mano che uccidesse quello che definiva tiranno.
Nei giorni di resistenza, durante l’assedio francese, ebbe l’incarico “di avisare con tutta l’energia a difendere il terreno a palmo a palmo” nel rione di “Borgo”, impedendo, così, il saccheggio dei Musei, Biblioteche ed altri luoghi contenenti opere di inestimabile valore.
Caduta la Repubblica Romana ed entrati i Francesi a Roma, esule, riparò prima a Losanna, quindi a Parigi per sfuggire alla condanna a morte, dove mantenne sempre ottimi rapporti con Mazzini e con i maggiori patrioti esiliati.
Nelle storiche giornate del ‘59 tornò in Italia, e, dopo la cacciata del Borbone si stabilì a Napoli. Nella città partenopea fondò e diresse, con altri patrioti, un giornale, cui diede l’auspice titolo “Roma”, a base del quale pose i principi: “Monarchia - Democrazia - Religione - Libertà”.
Sostenne calorosamente la necessità di fare di Roma la capitale del Regno d’Italia e condivise la passione di Giuseppe Garibaldi e di tanti altri patrioti.
Morì a Napoli il 1° ottobre 1863.